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Baccalà coi Porri

 

Ingredienti per 4 porzioni

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  • ½ Kg. di filetti di baccalà ammollato
  • 100 gr. farina
  • 150 ml acqua
  • 0,75 lt. olio di arachidi o mais
  • brodo vegetale q.b.
  • 750 gr. pomodori maturi o ½ Kg. di pomodori pelati
  • due o tre grossi porri
  • ½ bicchiere di vino bianco
  • Olio d’oliva extravergine
  • Due o tre foglie di basilico o prezzemolo

Preparazione

Per la pastella

In una bacinella in grado di contenere anche il baccalà, stemperare 125 gr. di farina in acqua creando una pastella non troppo liquida. Dovrebbero bastare circa 150 ml d’acqua. Lasciar riposare per almeno 2 ore. Non aggiungere sale.

Per i porri

Dopo aver tolto i primi due o tre strati, affettare i porri a rotelle fino all’inizio della parte verde. Mettere i porri insieme ad uno spicchio d’aglio in una padella grande e soffriggere per un paio di minuti. Versare mezzo bicchiere di vino bianco e lasciar sfumare. Aggiungere i pomodori e il basilico. Girare e far prendere il bollore. Aggiungere il brodo vegetale caldo. Coprire e cuocere a fuoco medio-basso per almeno 30 minuti. Agiungere un pizzico di sale.

Per il baccalà

Tagliare i filetti, già ammollati e sciacquati, in pezzi alti circa due dita. Con mezzo chilo di baccalà dovrebbero essere ottenuti circa quindici pezzi. Sgocciolarli bene, ed asciugarli con un panno carta. Inzuppare i pezzi di baccalà nella pastella facendo in modo che questa aderisca bene da ogni lato.
Scaldare l’olio in una padella alta o in una friggitrice; appena caldo, mettere i filetti a friggere 5 minuti per lato. Girare i pezzi una volta sola per non staccare la pastella che dovrà risultare croccante e il baccalà interno morbido.
Togliere i pezzi di baccalà e metterli a sgocciolare dall’olio in un vassoio con la carta assorbente. Meglio se si usa la carta gialla.

Quando i porri sono quasi cotti (si sono ammorbiditi), depositare nel sugo i pezzi di baccalà in modo che ne siano completamente ricoperti. Cuocere per altri cinque minuti. Durante questa operazione il baccalà assorbirà parte del sugo; è necessario dunque che il sugo stesso sia molto liquido. Eventualmente, prima di mettere il baccalà, aggiungere altro brodo e lasciarlo scaldare.

Abbinamento

Vermentino di Bolgheri

Difficoltà

MEDIA

Spunti & trucchi

Salare pochissimo perché il baccalà è salato di suo. Questo piatto può essere servito sia caldo che freddo o appena riscaldato. Si presta quindi ad essere servito sia d’inverno che d’estate.

Baccalà e Ceci

Ingredienti per 4 porzioni

  • ½ Kg. di filetti di baccalà ammollato
  • 100 gr. farina
  • 150 ml acqua
  • 0,75 lt. olio di arachidi o mais
  • Un bicchiere di olio d’oliva extravergine
  • 100 gr di ceci secchi oppure 500 gr ceci lessati
  • Un rametto di ramerino

Preparazione

Per i ceci

In acqua abbondante cuocere i ceci secchi con un rametto di ramerino, per circa due ore e a fuoco basso. Salare al termine della cottura.
Mettere in una casseruola due cucchiai di olio, uno spicchio d’aglio e un rametto di ramerino. Cuocere per un minuto, poi versare i ceci sgocciolati. Far insaporire i ceci a fuoco basso per cinque minuti.
Per il baccalà
In una bacinella in grado di contenere anche il baccalà, stemperare 125 gr. di farina in acqua creando una pastella non troppo liquida. Dovrebbero bastare circa 150 ml d’acqua. Lasciar riposare per almeno 2 ore. Non aggiungere sale.
Tagliare i filetti, già ammollati e sciacquati, in pezzi alti circa due dita. Con mezzo chilo di baccalà dovrebbero essere ottenuti circa quindici pezzi. Sgocciolarli bene, ed asciugarli con un panno carta. Inzuppare i pezzi di baccalà nella pastella facendo in modo che questa aderisca bene da ogni lato.
Scaldare l’olio in una padella alta o in una friggitrice; appena caldo, mettere i filetti a friggere 5 minuti per lato. Girare i pezzi una volta sola per non staccare la pastella che dovrà risultare croccante e il baccalà interno morbido.
Togliere i pezzi di baccalà e metterli a sgocciolare dall’olio in un vassoio con la carta assorbente. Meglio se si usa la carta gialla.
Servire caldo con i ceci annaffiati di abbondante olio extravergine di oliva.

Abbinamento

Vernaccia di San Gimignano

Difficoltà

FACILE

Spunti & trucchi

Grandinina con i Piselli

Grandinina con i piselli

La Grandinina con i Piselli è un piatto molto popolare e ricorrente nei libri della cucina Livornese. Tipico piatto della cucina povera, infatti la pasta di grano veniva usata al posto del riso per ‘simulare’ il risotto. Un tempo il riso era molto piú caro della pasta di grano e poco diffuso.
La Grandinina è una pasta di grano duro, classificata nelle pastine, fatta appunto come la grandine, a piccoli cilindretti. In Toscana si chiama Grandine, prodotta da un famoso pastificio Lucchese in due formati: Piccola (1,9 mm.) o Grossa (3,5 mm.).
Quella usata in questa ricetta è la Piccola. Sulle indicazioni di cottura è riportato 8 minuti ma tiene benissimo anche cotture più lunghe. In alternativa si possono usare comunque altri tipi di pasta come le puntine, i risi ecc. a seconda della regione e del pastificio produttore.
Nella cucina povera Livornese il brodo era fatto con quello che si poteva reperire, si usava chiamarlo il ‘brodo sui discorsi’. In pratica voleva dire che del brodo c’era poco, solo discorsi o chiacchere, parole senza sostanza, al massimo c’era un osso e una cotenna di maiale e gli tutti gli odori che si poteva recuperare.
Questa ricetta è fatta con pisellini freschi disponibili solo per un breve periodo dell’anno. D’inverno, quando è richiesto un maggior consumo di legumi, minestroni ecc. si utilizzavano piselli secchi ammollati la sera prima. Attualmente con le moderne tecniche di surgelazione si possono utilizzare i piselli surgelati.

 

Ingredienti per 4 porzioni

  • 320 gr di Grandinina
  • 300 gr piselli freschi sgranati (sgusciati)
  • 1 o 2 cipolline fresche
  • 1 o 1,2 Lt litri di brodo di carne o di pollo
  • Olio EVO
  • sale

Preparazione

Stufare in due cucchiai d’olio le cipolline affettate.
Aggiungere i piselli, mescolare, cuocere per alcuni minuti e aggiungere il brodo.

Cuocere per cinque minuti portando all’ebollizione, aggiungere se necessario ancora brodo o acqua bollente e aggiungere la Grandinina.

Cuocere per almeno 10 minuti mescolando spesso.

A cottura ultimata togliere dal fuoco e mantecare con burro e parmigiano se si vuol mangiare come risotto, altrimenti aggiungere ancora brodo per mangiare tipo minestrone.

Servire, ovviamente in versione ricca, da ‘signori’, con formaggio grana grattato e olio a crudo a piacere!

Abbinamento

Rosso Giovane

Difficoltà

BASSA

Spunti & trucchi

Alcune ricette aggiungono anche foglie di lattuga insieme ai piselli, altre pancetta a dadini e concentrato nel soffritto.

Fritto Misto di Mare

Ingredienti per 4 porzioni

  • 1/2 kg. di totani
    o calamari
  • 1/2 Kg. di pescetti misti da frittura o paranza
  • 300 gr. di gamberi
  • 0.75 L. di olio di semi di arachide o mais
  • 300 gr di farina
  • sale

Preparazione

Pulire i calamari, togliendo interiora e lisca (o cartilagine), e tagliarli a rondelle, se sono grossi separare i tentacoli. Pulire i pesci togliendo le interiora. Sciacquare e mettere in un colino a sgocciolare. In una zuppiera versare la farina rotolare il pesce e i calamari in modo da infarinarli tutti.

Mettere in una padella l’olio e portarlo a temperatura. Con l’olio indicato dovrebbero bastare tre o quattro minuti. Mettere il pesce e i calamri nell’olio (eventualmente con un setaccio togliare l’eccesso della farina; in mancanza del setaccio, scuotere pesci e calamari nella zuppiera prima di depositarli nell’olio).

Appena dorati, toglierli con la schiumarola e adagiarli in un vassoio ricoperto di carta gialla.

Salare e servire accompagnato con spicchi di limone.

vedi anche la tecnica

Abbinamento

Vernaccia S. Gimignano

Difficoltà

BASSA

Spunti & trucchi

Non salare con sale fino ma con sale grosso passato per qualche secondo al mixer. Il sale ammorbidisce la crosta del fritto.

Si puo sostituire la farina con varie miscele di farina, mais e semolino per trovare la croccantezza voluta.

Maritozzi

Ingredienti per circa 16 Maritozzi

  • 100 gr. lievito bianco
  • 300 gr.farina
  • 40 gr. zucchero
  • 40 ml. di olio
  • 100 ml. di acqua
  • 40 gr. di uva sultanina
  • 30 gr. di pinoli
  • 30 gr. arancia candita
  • 6 gr. di sale
  • 1 uovo + 1 tuorlo
  • aroma arancia

Preparazione

Il lievito bianco

La mattina preparare il lievito bianco con 5 gr di lievito di birra e 70 gr di farina in circa 1/3 bicchiere di acqua

L’impasto (primo pomeriggio)

Mettere il lievito bianco in una bacinella, diluirlo con l’acqua aiutandosi con una forchetta. Spezzettare l’impasto. Aggiungere il sale e lo zucchero, mescolare un poco, quindi unire l’uovo sbattuto, la farina, l’olio e mezza fialetta d’aroma..
Impastare per una decina di minuti fino a quando l’impasto non risulta liscio e morbido. Impastare ancora cinque minuti aggiungendo poco alla volta i pinoli, i cubetti di arancia canditi e l’uvetta.
Compattare l’impasto in una “palla”, e depositarlo in una bacinella dove è stata sparsa un po’ di farina. Coprire con un panno e mettere a lievitare in un luogo caldo. L’impasto deve quasi triplicare il suo volume. Con le dosi indicate dovrebbero risultare alla fine circa 850 gr. di impasto.

I maritozzi (sera)

Preparare due teglie da forno e ungerle con olio.
Dividere l’impasto prima in due parti e poi in altre due e così via fino ad ottenere delle piccole porzioni da circa 50 gr. ciascuna. Dare loro la forma voluta (ovale o tonda) e distenderle sulla teglia distanziate in modo che raddoppiando di volume non si vadano a toccare l’una con l’altra.
Coprire con un panno leggero e lasciare lievitare tutta la notte.
Al mattino, mescolare il tuorlo d’uovo con la restante parte della fialetta di aroma e utilizzando un pennello spennellare i maritozzi lievitati.
Mettere in forno caldo a 180°. Cuocere per circa 20 minuti.

Abbinamento

Difficoltà

MEDIA

Spunti & trucchi

Aprire i maritozzi e farcirli con panna montata con zucchero vanigliato. La ricetta classica prevede la farcitura di Crema di Burro perchè meno delicata, dal punto di vista della conservazione, della panna. Ottimi d’estate farciti con gelato.

Crostata di Fragole

Ingredienti per 6/8 porzioni

  • 1/2 kg. fragole pulite
  • 250 gr. farina
  • 150 + 50 gr. zucchero
  • 100 gr. burro + 20 per imburrare la teglia
  • 1 uovo intero
  • 1 tuorlo
  • 2 cucchiai di latte
  • 1 limone

Preparazione

Preparare prima gli ingredienti in modo che siano a temperatura ambiente al momento dell’utilizzo (soprattutto il burro, che deve essere morbido).

Preparare le fragole e metterle in una bacinella con 50 gr. di zucchero e due cucchiai di maraschino. Coprire e lasciare in infusione un paio d’ore.

Mescolare in una bacinella i 150 gr. di zucchero con la farina, un pizzico di sale e pizzico di bicarbonato. Aggiungere, al centro, le uova, il burro fatto a pezzettini e due cucchiai di latte. Grattugiare sopra la scorza del limone. Mescolare dapprima con una forchetta e poi con le dita in modo da non surriscaldare troppo l’impasto. Deve essere morbido e deve attaccarsi appena alle mani. Eventualmente aggiungere farina. Fare una “palla” con l’impasto, e mettere a riposare in frigorifero almeno trenta minuti.
Separare un quarto dell’impasto e metterlo da parte per le decorazioni. Stendere la frolla su di un foglio di carta da forno formando un disco del diametro della teglia. Dovrebbe avere lo spessore di poco meno di un cm. Imburrare la teglia e capovolgerci la frolla appena stesa, poi togliere la carta. Sistemare la frolla al bordo e disporre le fragole sul fondo. Lasciare il liquido nella bacinella. Con la frolla rimasta creare il bordo della crostata e la griglia di decorazione arrotolandola o spianandola e tagliandola a strisce.
Mettere in forno a 180° per 40 minuti. Controllare la cottura verso 30 minuti: se le fragole sono troppo secche versare un paio di cucchiai di liquido tenuto precedentemente da parte. In realtà ciò non dovrebbe accadere, perché le fragole nella cottura rilasciano liquido facendo risultare morbida la crostata. Per questa ragione sarà più gustosa consumata il giorno dopo, quando avrà perso un po’ di umidità.

Abbinamento

Moscato – Vino da dessert

Difficoltà

BASSA

Spunti & trucchi

Utilizzando la stessa frolla si può cuocere per 25- 30 senza la frutta e poi mettere la frutta fresca a crudo, dopo aver prepararo il fondo con qualche mestolo di crema pasticcera.

Speciale Peperoncino

Dal sito di GuidaSicilia.it

Piccante, per dimagrire, curarsi e … molto altro ancora

Tra i buoni propositi di questa stagione c’è anche quello di perdere qualche etto in eccesso?
Un trucco consiste nell’introdurre cibi che “bruciano in bocca” per eliminare le calorie in eccesso. Secondo uno studio, infatti, chi mangia cibi piccanti elimina oltre 45 calorie in più, a parità di pasto.

Le spezie piccanti fanno insomma aumentare il metabolismo di circa il 25%: questo aumenta la possibilità di perdere peso.
Unico inconveniente: non è ancora chiaro quali siano le spezie in grado di far “bruciare” le calorie. Il peperoncino sembra abbia questo effetto ma non, ad esempio, lo zenzero.

Un po’ di storia
Il peperoncino arrivò in Europa stivato nelle caravelle di Colombo che tornavano nel vecchio continente, nel 1514. Il nome con il quale era chiamato in tutto il nuovo mondo era “chili” e così è rimasto.
Il primo occidentale che conobbe sulla lingua il sapore piccante del peperone fu il medico della seconda spedizione di Colombo, Diego Alvaro Chanca, che lo usò come condimento nel 1494.
Fino al secolo sedicesimo, nessuno dei grandi popoli della civiltà occidentale aveva mai potuto aromatizzare le sue vivande con l’apporto di questo vegetale allegro, umile, vivificante.
Il peperoncino acutissimo al gusto apparve subito adatto per conservare e insaporire le vivande: tant’è che il Mattioli, medico senese autore di un famoso trattato sulle piante del 1568, ne parla già come di una pianta comune, chiamandolo pepe cornuto o pepe d’India.
Comincia da qui la difficile e intricata questione della nomenclatura a proposito del nostro frutto, che troverà solo con la sistematica di Linneo, nel settecento, il definitivo nome scientifico di “capsicum”.
In brevissimo tempo la coltivazione del pepe d’India si diffuse nei paesi del mediterraneo, favorita dal clima e dal sole.
Attecchì benissimo nel nostro Sud, dove il peperoncino è rimasto, quasi ovunque, l’aroma preferito, e in tutta l’Africa settentrionale.
Oggi, è venduto in quantità in qualunque mercatino della Tunisia, Algeria, Libia, Egitto, Marocco.

La carta d’identità
Pianta che appartiene alla famiglia delle solanacee ed al genere capsicum.
Nome botanico(genere e specie) :Capsicum frutescens, Capsicum annum.
Le piante si presentano sotto forma di cespuglio con foglie di colore verde chiaro su fusti delicati.La loro altezza varia dai 40 agli 80 cm e la loro larghezza, dipendente dalla specie, risulta sempre variabile tra i 40 e gli 80 cm.
Fiorisce con fiori bianchi stellati a 5-6 petali con stami giallo tenue.

Come si coltiva
Il peperoncino può essere coltivato in balcone, seminando da febbraio a marzo in una cassettina contenente terriccio da semina e trapiantando poi la pianta all’aperto in aprile – maggio, quando è alta 10 cm circa.
Date le misure della pianta occorre che esse vengano interrate alla distanza di 10-15 cm l’una dall’altra ed eventualmente protette nelle zone più fredde, in modo da mantenerle ad una temperatura di minimo 19 °C. I frutti si raccoglieranno da giugno fino a novembre.
Alcune delle specie più note
HABANERO Considerato da alcuni come il peperoncino messicano più piccante al mondo, ha un colore arancio o rosso e la forma di una lanterna della lunghezza di 5 centimetri. Ottimo nelle salse piccanti.
PAPRICA (Capsicum annuum) Polvere ottenuta a partire da una particolare qualità di peperone dolce, fatto seccare e quindi ridotto in polvere. Originaria del Messico la pianta è stata introdotta in Ungheria dove è diventata un ingrediente simbolo della cucina di questo paese.
ANCHO E’ sicuramente il peperoncino più popolare in Messico. Di colore rosso-arancio ha un sapore dolce e fruttato. E’ ottimo per farcire i ripieni e per aromatizzare le salse. Lo si trova spesso già ridotto in polvere.
CHIPOTLE Peperoncino messicano color caffé, è un jalapeño di grossa taglia maturato ed essiccato. Prima di utilizzarlo conviene gettare il picciuolo ed i semini e ridurlo in purea con poca acqua
AJI Passano sotto questo nome una grande varietà di peperoncini peruani, come l’ají huacatay, il verde molido, il limo amarillo, il montaña di colore rosso dall’odore intenso e molto piccante, il mirasol verde e seccato, o il più comune panca di grossa taglia e dal colore rosso marrone, che a differenza delle altre speci non è piccante ed è molto usato per insaporire i piatti.
PRIK CHEE Ampiamente utilizzato nella cucina thai, ha la dimensione di un dito ed è moderatamente piccante. Può essere verde, giallo o rosso a seconda del grado di maturazione.
PRIK KEE NOO Peperoncino thailandese di piccola taglia ma terribilmente piccante, può essere rosso, verde, giallo-arancione, il suo impiego spazia dai curry alle salse.
GUAJILLO Peperoncino messicano di colore bruno scuro, può raggiungere i 10-15 centimetri di lunghezza ed una forma leggermente ricurva. Ha un sapore dolce ed un’aroma che ricorda vagamente il té verde. Ottimo per la preparazione di salse.
JALAPENO E’ probabilmente il peperoncino messicano più conosciuto in Europa, ha un colore verde scuro, la polpa spessa ed una lunghezza variabile tra i 5 ed i 7 centimetri, è moderatamente piccante lo si consuma preferibilmente en escabeche (in salamoia).
PASILLA Peperoncino messicano lungo e sottile dal colore marrone scuro, ha un gusto particolare di liquerizia. E’ delizioso ridotto in salsa per aromatizzare i piatti a base di frutti di mare ed il ceviche.
POBLANO Peperoncino messicano di colore verde scuro lungo circa 10 centimetri. Lo si consuma cotto e mai crudo, è eccellente grigliato al forno.
SERRANO Peperoncino messicano di colore verde vivo o rosso e molto piccante. Ha un gusto deciso ottimo per insalate,marinate e salse.
PEPERONCINO DI CAYENNA Si tratta di uno dei peperoncini più piccanti al mondo, dal colore rosso-arancio o verde ha un profumo assolutamente particolare che si presta ottimamente per dare un tocco piccante ai piatti africani e caraibici.
Come si conserva
I metodi migliori per conservare il peperoncino in modo che non perda le sue proprietà sono: sott’olio o secco Esso deve essere utilizzato appena colto altrimenti il sapore si altera. Per ottenere un sapore piccante è consigliato seccare i peperoncini al sole e polverizzarli, qualche giorno dopo la raccolta.Per chi preferisce metterli in salamoia, si consiglia di coglierli senza togliere il picciolo ed i semi e, scottarli in acqua e aceto bollenti per 1 minuto. Portare poi ad ebollizione in una pentola un litro d’acqua,toglierli dal fuoco ed aggiungere 250 gr. di sale da cucina, raffreddarli e sistemarli in un vaso di vetro.
Le sue caratteristiche
Il vero nome scientifico del peperoncino è Capsicum, nelle varie vesti di minimum, fastigiatum, frutescens, annuum.
La parola deriva dal latino capsa che vuol dire scatola o dal greco kapto che vuol dire mordo, mangio avidamente (per la sua dote di eccitare l’appetito).
Il principio attivo, l’alcaloide, si chiama Capsicina ed è contenuta specialmente nella placenta, un velo sottile, attaccato alla parte interna del frutto, che sorregge ed avvolge i semi.
Nell’epicarpo sono contenute le sostanze coloranti che danno il bel colore al frutto: capsorubina, zeaxantina, criptoxantina.
Nell’olio dei semi vi sono: acido miristico, palmitico, stearico, carnaubico, oleico.
Nel frutto: acido malonica e citrico, potassio, rame, zinco, fosforo, zolfo, magnesio, ferro.
Le Vitamine: Vitamina A 420 U.I, Tiamina 0,08, Riboflavina 0,08, B6 0,22, Niacina 0,22, Acido Pantotenico 0,23, Acido Folico 8, Acido Ascorbico 128, Vitamina E 60 gamma.
Per i più pignoli vi diamo anche la formula chimica della Capsicina e il suo nome “chimico”
Le sue doti
Ecco una lista delle straordinarie doti di questo prezioso frutto:
Carminativo (scaccia i gas dalla pancia)
Eupeptico (fa digerire bene)
Previene l’ infarto
E’ afrodisiaco (aumenta il desiderio sessuale)
Fa abbassare la pressione alta
Fa aumentare la pressione bassa
Migliora l’emodinamismo
Fa smettere di fumare
Sollecita la coagulazione del sangue
Protegge i capillari
Cura l’ulcera gastrica e duodenale
Cura le emorroidi e le ragadi
Abbassa il colesterolo
Indicato nelle prostatiti
Cura le allergie e l’asma
Evita le trombosi
Cura la colite
E’ anticancerogeno
Cura nevralgie, reumatismi, distorsioni, lombaggini, torcicollo.
Cura la gotta
Aiuta gli alcolisti a smettere di bere
Migliora la depressione e l’ansia
Indicato nelle faringiti e laringiti
Caduta dei capelli
Distacco di retina
Incontinenza urinaria
E’ diuretico
E’ diaforetico (fa sudare)
Cura la dismenorrea
Otite
Insufficienza epatica
Psoriasi
Stitichezza
Herpes Zoster
Vene varicose
Cellulite
Pellagra
Malaria
Colera
Enfisema polmonare
Cistopielite
Allevia i dolori del parto
Emicrania e cefalea
Pulisce i denti
Mal di mare
Anoressia
Obesità
Ernia iatale
Mal di denti
Acne giovanile
Sordità
Apoplessia
Tosse
Abbassa i trigliceridi
Diverticolite
Geloni
Raffreddore
Come placare il bruciore?
Per quelli che hanno esagerato con le dosi, oppure se ne sono trovati un pezzo in bocca senza volere, c’è un solo rimedio!!Evitare assolutamente di bere dell’acqua, vino, birra, o altro: le cose non faranno altro che peggiorare!L’unico modo è masticare del pane, o ancor meglio della mollica, magari dopo essersi messi sulla lingua un pizzico di sale. FATE ATTENZIONE!!!
Come si misura il potere “ustionante”?
Il potere urticante di un peperoncino viene misurato in due modi differenti:
Scoville Heat Units (S.H.U.)
Dremann’s Hotness Scale (D.H.S.)
Le due scale si basano su due principi diversi, comunque abbastanza empirici, e le classifiche di piccantezza che ho trovato in giro non si riferiscono allo stesso gruppo di qualità di peperoncini, quindi il più piccante di una scala non lo è per l’altra. Secondo il mio modesto parere ogn’uno può crearsi la sua scala come più gli piace, mettendo a confronto i peperoncini nella preparazione della sua salsa preferita o qualsiasi altra cosa. buon divertimento!!!
Scoville Heat Units
Si basa su di un sistema empirico che valuta la reazione della pelle umana al contatto, e l’unità di misurasono le Scoville Heat Units (S.H.U.). Ovviamente questa misura varia in modo imprevedibile in virtù di numerosi fattori, compresa la tolleranza del singolo individuo. In una scala media che classifica i peperoncini a seconda del gusto piccante, quello più dolce è collocato a 0 unità e i più forti (come l’habanero) a 300.000 Scoville Heat Units.
A seconda della loro forza, i peperoncini si possono dividere più o meno precisamente in tre grandi categorie:
o Ferocemente piccanti-brucianti:
habanero, chiamato anche “la vendetta del diavolo” (300.000 Scoville Heat Units [S.H.U.]), calore di fusione, intenso gusto fruttato piccante); thai (100.000 S.H.U., calor bianco, persistente); cayenne (50.000 S.H.U., gusto lievemente dolce e intenso); de Arbol (15.000 S.H.U., calore pungente, gusto erbaceo); serrano (15.000 S.H.U., leggermente acido). Peperoncini piccanti sono anche l’amarillo, il limon, il chiltepin, il santaka, il japones, il rocoto, il piquin (chiamato anche petine), il tabasco, il puja, il Guajillo, il cascabel e il mirasol (gusto di frutti tropicali).
o Piccanti-pungenti:
il polposo e versatile Jalapeno (5.000 S.H.U., gusto vegetale); l’ancho o poblano (1.500 S.H.U., leggermente dolce, con gusto di uva passa); il pasilla (2.500 S.H.U., gusto lievemente affumicato); il new mexico (1.000 S.H.U., gusto erbaceo e terroso, leggermente dolce e acido).
o Leggeri-blandi-dolci:
california (500 S.H.U., media dolcezza); le specie sudoccidentali come l’anaheim rosso e verde (gusto dolce e vegetale); cubanella, squash, chiloca, chowa, deaqua (leggermente fruttati e aspri); cherry (media dolcezza) e banana (100 S.H.U., appena dolce); sweet bell (0 S.H.U., leggero, dolciastro e vegetale), che comprende le specie più diffuse come quelle olandesi e mediterranee, molto utilizzate (di colore viola, marrone, rosso, verde, giallo e arancione), la specie ungherese di media grandezza e quelle spagnole rosse e gialle di media grandezza (pimento).
Dremann’s Hotness Scale
Anche questo è un sistema empirico basato ed è basato sul diametro, ma non sulla lunghezza, del peperoncino (più è piccolo e più è cattivo) e sulla capacità di aumentare la “cattiveria” di una salsa per unità di peso. Questa scala indica le once di salsa che si riescono ad insaporire (cioè si sente l’aumento della piccantezza) con l’aggiunta di una sola oncia di peperoncino verde fresco. Nel caso di peperoncino maturo si deve moltiplicare la quantità per 2, se è secco si deve moltiplicare per 10.
Diametro del frutto Dremann’s Hotness Scale
5-10 mm da 1,000 a 8,000
10-25 mm da 100 a 2,000
2.5-4 cm da 100 a 1,000
4-7.5 cm da 50 a 250
Di seguito trovate la scala per 31 specie di peperoncini. La ” f ” sta per frutto fresco, mentre la ” d ” sta per dried, ovvero secco.
D.H.S. Qualità
25 f Anaheim mild
42 f Sandia
60 f Elephant’s Trunk
60 f Santa Fe Grande
95 f Santo Domingo Pueblo
133 f Serrano
135 f Ancho Mexican Large
270 f Pusa Jwala
380 f Mexican Negro
400 f Jalapeno, razza verde
400 f Trupti
500 f Manzano or Rocoto
1,000 d Mandi
1,300 d Guajillo
2,000 d Dagger Pod
2,000 d Flame Fountain
2,777 f Habanero red (compreso Red Savina)
2,857 f Habanero yellow
3,500 d Aji Brown
3,500 d Aji Rojo
3,500 d Aji Yellow
4,160 f Habanero orange
4,762 f Habanero brown
5,700 f Yatsufusa
6,700 d Thai
7,143 d Round Indian Chilly
8,000 d De Arbol
10,000 d Habanero orange
10,000 f Merah
10,000 f Red chili
10,000 f Tabasco
16,000 d Japones
20,000 d Assam
20,000 d Pequin
25,000 f Indian PC-1
30,000-50,000 d Tepin (senza semi!!!)

Le proprietà medicinali
Azione antibiotica
Vi sembrerà strano, ma la maggior parte delle piante studiate sotto questo aspetto hanno dimostrato di possedere una azione antibiotica più o meno pronunciata. Il capsicum, usato largamente in Etiopia per la preparazione dei piatti tradizionali, ha dimostrato, ad una concentrazione neppur troppo elevata, di poter inibire colonie di salmonelle e colibacilli assai diffusi in quelle zone calde e responsabili di gravi malattie intestinali.
La cosa non deve meravigliare più di tanto.
Gli antibiotici prodotti dalle piante hanno una funzione di difesa contro i germi in esse contenuti nè‚ più o meno come gli animali e l’uomo posseggono un sistema immunitario fatto di anticorpi e di elementi corpuscolati, macrofagi e linfociti, deputati allo scopo.
Il fatto singolare è che le piante che noi usiamo come spezie: aglio, prezzemolo, rosmarino, pepe, ginepro, origano, cumino, ecc., ne contengono in quantità significative.
Sembra quasi che l’uomo abbia cercato ed usato questi vegetali non solo per migliorare il gusto del cibo, ma per altre ragioni dettate dall’istinto.
Oltreché‚ preservarsi da certe malattie, ottenere da questi antibiotici naturali una modificazione della flora intestinale atta a sfruttare meglio la digestitone del cibo e quindi derivarne un maggior apporto calorico.
In parole semplici, un piatto povero di farinacei o patate, insaporito con prezzemolo, aglio e peperoncino, aumenta il suo valore nutritivo reallizzando così un vantaggio economico.
Spiega, almeno in parte, come certe popolazioni della terra riescano a sopravvivere con diete misere ai limiti della sopravvivenza.
Questo ben sanno gli allevatori che, somministrando antibiotici agli animali in batteria, ottengono un maggior utile che va dal dieci al venti per cento.
Da tutto ciò che ho detto se ne potrebbero ricavare pratici vantaggi?
Qualche “patito” del peperoncino farà, a questo punto, un salto sulla sedia. Ma, allora, la decantata cura col peperoncino dell’ulcera gastro-duodenale, scoperta recentemente la sua natura microbica (Campylobacter), ha una sua valenza scientifica?
Andiamoci piano e soprattutto lasciamo che le applicazioni scientifiche le facciano gli esperti. Intanto, se è vero che il peperoncino (come tanti altri vegetali ed in maggior misura) possiede azione antibiotica utile specialmente ai fini della flora intestinale, è anche vero, questo è il rovescio della medaglia, che queste piccole dosi di antibiotico possono anche provocare una resistenza batterica quale effetto indesiderato.
Eppoi, il fatto che questo artificio possa essere usato per “arricchire” in calorie la dieta, béh, questo poi non ci interessa, anzi!
In conclusione, è sempre difficile valutare l’azione di un farmaco partendo da qualche sua caratteristica, magari suggestiva.
Tra la definizione teorica di essa e la sua applicazione pratica (vedi ulcera gastrica) c’è di mezzo una sperimentazione, la conferma dei risultati che devono essere costanti e sicuri.
Se Fleming ha scoperto la penicillina in una muffa, non ci sogneremmo mai di fare impacchi di muffa su di una ferita!
Azione anticancerogena
Prendiamo l’argomento con le molle e con tanta, tanta prudenza.
Le nitrosamine sono composti (bombe ad orologeria) con le quali veniamo a contatto giornalmente, volenti o nolenti e che hanno una comprovata azione cancerogena.
Sono contenute nei vegetali coltivati su terreni eccessivamente concimati, anche con concimi naturali; in certi legumi, spinaci, insalate diverse.
Anche la bollitura può trasformare i nitrati in nitriti e quindi in nitrosamine per azione di bacteri in derrate mal conservate dopo la cottura.
Le nitrosamine si possono formare anche in carni mal conservate o pesci non freschi.
Possono essere presenti in prodotti di fermentazione come vino e birra.
Si sviluppano anche all’interno dell’apparato digerente, sempre per azione di microrganismi, in ambiente troppo acido.
Nei fumatori, la saliva stessa può sviluppare nitrosamine.
E chi più ne ha, più ne metta!!!
Fortunatamente il nostro organismo ha la facoltà, con alcuni enzimi, di rendere solubili e quindi eliminabili questi composti nocivi.
Purtroppo però altri enzimi (il citocromo p450j) reagiscono con queste sostanze dando luogo a prodotti potenzialmente cancerogeni.
Ora, pare che il peperoncino, la sua capsicina, abbia la proprietà di legarsi a questi enzimi traditori, neutralizzandoli. Ma il problema non è così semplice.
E’ stato anche dimostrato, purtroppo, che 11 nitrato di sodio presente in molti alimenti, reagendo con le spezie aggiunte per la loro conservazione (peperoncino compreso) possono dar luogo alla formazione di nitrosamine.
Come vedete l’argomento è assai spinoso!
E’ stato accennato per sommi capi per farvi comprendere come quella che potremmo chiamare la farmacologia alimentare sia irta di trabocchetti e non permetta esemplificazioni di comodo.
Se però consideriamo che il peperoncino ha una buona azione antiputrefattiva e possiede una efficace azione sulla peristalsi intestinale atta ad accelerare il transito delle feci così impedendo il loro ristagno nel grosso intestino e la formazione di sostanze mutagene, ecco allora che l’azione del peperoncino può essere utile, specie quando la dieta sia ricca di fibre vegetali.
Azione antisclerotica
Recenti studi condotti in Giappone hanno appurato che la capsicina ha sul sangue una azione fibrinolitica (come l’aglio e la cipolla, se non lo sapevate!).
A vostra conoscenza dirò che la fibrina è una specie di reticolo che va ad avviluppare quegli accumuli di piastrine che si sono andate formando sulle piccole lesioni create dal tempo a danno delle nostre povere arterie. Tappando sì il buco ma creando, con la fibrina appunto, con i globuli bianche, rossi e calcio quella placca ateromasica che nel tempo può divenire tanto voluminosa da chiudere il vaso stesso.
Antiaggreganti piastrinici e fibrinolitici sono quindi i farmaci che impediscono la formazione della placca. Il che, come dicevamo all’inizio, pare sappia fare il peperoncino.
La qual cosa, anche se suggestiva, deve ancora essere dimostrata in modo sicuro.
La tesi, molto accreditata, che sostiene questo asserto, si basa sulla constatazione, in verità inoppugnabile, che i popoli che fanno largo uso di peperoncino sono statisticamente meno soggetti all’arteriosclerosi e quindi all’infarto. La deduzione è affascinante ma un po’ semplicistica.
Non dimentichiamo che quei signori, si fa per dire, mangiano meno di noi (o non mangiano affatto) non fumano si arrabbiano di meno e se la prendono comoda (andando a piedi).
Probabilmente, facendo o non facendo tutte queste cose, anche noi camperemmo di più, anche senza peperoncino!
Il peperoncino come anestetico
Le prime ricerche di laboratorio sul peperoncino risalgono agli anni venti.
Soggetti designati negli esperimenti i soliti poveri cani, probabilmente senza il loro consenso.
I primi ricercatori, iniettando la capsicina endovena provocano un rallentamento degli atti respiratori fino all’apnea, un abbassamento della pressione arteriosa ed una diminuzione della frequenza cardiaca per azione vagale.
Sull’intestino isolato (sempre del povero cane) la capsicina aumenta il tono e la frequenza delle contrazioni Sempre lo stesso capsico, applicato localmente come tintura (questo si può fare anche sulla pelle di un cristiano!) provoca calore e bruciore ed in un secondo tempo arrossa l’epidermide ma non fa comparire vesciche anche in dosi molto concentrate. Non solo, ma a questo livello subentra uno stato di anestesia localizzata, il fenomeno già notato in passato (così curavano il mal di denti i Maja e gli Incas) è stato recentemente spiegato con il fatto che la capsicina entrerebbe in competizione con la cosidetta sostanza P che è un mediatore chimico tra la parte offesa ed il neurone che porta lo stimolo al cervello.
Questo misterioso fattore fu scoperto negli anni trenta ma fu isolato e meglio conosciuto quaranta anni dopo.
La distruzione o l’inattivazione, questo non è chiaro, di tale sostanza, impedisce dunque all’or- ganismo di percepire dolore da quel punto dove si è applicata la capsicina.
Con queste interessanti premesse si è recentemente provata l’applicazione di una crema di capsico sulle lesioni provocate da una malattia tipica del sistema nervoso periferico: l’erpes Zoster. Pare con buoni risultati, anche se consiglio i miei lettori di non fare esperimenti sulla propria pelle.
Nemmeno sui cani!!
Come viene chiamato nel mondo
ANCHO: Messicano, a forma di cuore, lungo circa 12 cm. dal sapore dolce. Quando è ancora verde viene chiamato Poblano e viene usato fresco.
AKE LOTA PEPPER – AKASHI LANKA: Due peperoncini indiani. Quest’ultimo dal nome simpatico “che guarda il sole” come l’omonimo messicano mirasol.
BERBERE’: Prodotto da diverse qualità di peperoncino, tutte assai vivaci, è principe nelle regioni dell’Eritrea e dell’Etiopia.
BIG JIM: Prodotto nel Nuovo Messico per l’esportazione U.S.A.
BIRD PEPPER: Della Florida.
CAJENNA: Molto piccante, deriva dall’antico Jalapeno. è, per gli europei, il peperoncino per antonomasia.
CHACOENSE: Originario della Bolivia, con l’ulupica padre e madre di tutti i peperoncini del mondo. CRASNJ PEREZ: E’ il nome russo del peperoncino.
CHILE O CHILI: E uno dei tanti nomi del peperoncino e deriva dalla denominazione che gli antichi atzechi davano allo stesso; chili.
Per chili i messicani intendono una polvere di peperoncino mescolata con farina di mais, cumino, cipolla, origano, aglio e pepe nero.
CILIEGIA: E rotondo con un diametro di due, tre cm. Molto piccante, è proprio delle Antille.
COLOMBO: Come il Chili messicano è una composizione a base di peperoncino ma con l’aggiunta di polvere di amido di riso, coriandolo, mostarda, curcuma polvere essiccata di mango.
Si usa nei Caraibi.
DATIL PEPPER: Peperoncino della Florida.
FELFEL AHMAR: Tipo Caienna, è il pepeironcino per antonomasia dei paesi del Nord-Africa. GUATJILLO: Uno dei tanti peperoncini messicani che non passano inosservati sulla lingua. HABANERO: È l’antico peperoncini dei Maya dello Yucatan ed ancora preferito dai loro diseredati discendenti (in antitesi polemica con gli ultimi arrivati ghe preferiscono lo jalapeno). Di colore verde scuro, rotondeggiante, lungo 5-6 cm, sì può considerare il più piccante del mondo e, stranamente, il più profumato.
HARISSA: Peperoncini di cajenna ammollati in acqua e quindi pestati con il sale.Conservati con olio di oliva e aglio.Serve per preparare il famoso couscous dei popoli africani che si affacciano sul Mediterraneo.
HONKA: È il nome giapponese del peperoncino. (Anche togarashi).
HONTAKA O IIONKA: È un peperoncino giapponese rosso-arancio lungo 5 cm. Molto vivace.
INDIANISHER PFEFER: È il nome tedesco del peperoncino. (Oppure spanisher pfeffer, beisbceren). JALAPENO: È il classico peperoncino messicano dal colore verde lungo 7 cm e la punta molto arrotondata. Essiccato al sole e affumicato con legna particolare prende l’antico nome azteco di chipotie.
È moderatamente piccante ed il più esportato negli USA.
LAAL MIRCH: È il nome indiano del peperoncino.
LAJUAU: È il nome cinese dei peperoncino.
MALAGUETA: È un piccolo frutto che si trova in Brasile e nella Guinea. In Europa è conosciuto come pepe della Giamaica.
MIRASOL: Messicano, a forma di cornetto, al contrario dei suoi simili, guarda verso l’alto, verso il sole, come l’indiano akashi lanka.
MIRCHA: È il nome indiano del peperoncino.
MULATO: Dal Messico, rosso scuro, quasi nero di forma rettangolare, largo 8 cm, lungo 10. È poco piccante ma in compenso più profumato dei suoi colleghi. È una varietà del poblano.
NUMEX: Dal nuovo Messico, è coltivato in larga scala.
PAJARITO: Della Colombia.
PAPRIKA: E il celeberrimo peperoncino ungherese. A seconda che si siano lavati o tolti i semi e la parte placentare si produce la paprika dolce, mezzo dolce, rosa che è la più forte.
PASILLA: E l’ennesimo peperoncino messicano di forma allungata, assai piccante. I suoi resti archeologici risalgono a 5000 anni fa.
PICKEENU: E il peperoncino verde della Tailandia dove se ne consuma una enorme quantità, la più alta procapite nel mondo. E’ molto piccante.
PIMENTON: Il peperoncino spagnolo macinato. (anche pimiento, guedillas).
PILLIPILLI: È un peperoncino delle isole di Capo Verde che viene usato anche in Portogallo mescolato a olio, aceto, cipolla, aglio e whisky.
PIMIENTO: Non molto piccante è una varietà coltivata negli Stati Uniti.
PIQUIN: Piccolo peperoncino del Perù, come tutti i piccoletti vivacissimo.
POBLANO: Messicani, piuttosto grandi, dalla forma allungata, verdi o rossi più o meno piccanti.
Vengono usati freschi. Secchi o affumicati cambiano nome in acho o mulato.
POIVRE DEL L’INDIE: È il nome francese del peperoncino, (è anche chiamato piment, poivre long). PULFUL: E il nome arabo del peperoncino.
RED PEPPER: E il nome inglese del peperoncino, (oppure spanish pepper, pod pepper).
ROCOTILLO: Sudamericano, assomiglia ad un piccolo pomodoro.
ROTOCO o LOCOTO: Della Bolivia e del Perù, èsimile ad una ciliegia e cresce sulle Ande a grandi altitudini.
SAMBAL: E una salsa indiana con polvere di peperoncino, latte di cocco, cipolla e aglio.
SANDIA: Dal nuovo Messico.
SANTAKA: Piccantissimo giapponese.
SCOTCH BONNET: Dalla Giamaica, è un parente stretto del micidiale habanero messicano SERRANO: Semiselvatico, ha la caratteristica dei frutti che crescono verso l’alto.
TABASCO: Peperoncino diffusissimo per le sue coltivazioni che dà il nome alla celeberrima salsa. TIAJN: Peperoncino cinese.
ULUPICA: Si trova allo stato selvaggio ed èconsiderato l’antenato di tutta la progenie con il chacoense. Non lo trovate nei negozi ma sulle montagne della Bolivia con un po’ di fortuna.
XCATIC: Allo stato selvatico nello Yucatan, oggi coltivato.
KUMATAKA: Piccantissimo giapponese
Come è conosciuto in Italia
Liguria: Peviuncin russu.
Lombardia: Peverone.
Piemonte: Peuvreun.
Emilia: Pevrun, Piviron.
Toscana: Zenzero, Pepe rosso, Pepe d’India.
Abruzzo: Pipidigno, Lazzaretto, Cazzariello Saittì, Pepentò Piccante.
Molise: Diavulillo.
Campania: Peparuolo.
Puglia: Peperussi, Pipazzu, Pipariellu, Diavulicchio, Zenzero.
Sardegna: Pibiri moriscu.
Sicilia: Piparieddu, Pipi russu
Basilica: Diavulicchio, Francisello, Cerasella, Pupon, Zafarano, Mericanilì, Mecarillo.
Calabria: Pipi infernali, Pipi bruciante Canearedu, Spezzuzzu, Pipazzu, Pipi sfuscente, Pipariellu.

Schiacciata di Pasqua

Ingredienti per 2/3 schiacciate

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  • 1, 2 kg. di farina 00
  • 8 uova + 2 tuorli
  • 300 g.r di zucchero
  • 100 gr. di Olio d’Oliva
  • 35 gr. di burro
  • 15 gr. di lievito di birra
  • 10 gr. di semi di Anice (anaci)
  • 2 fialette di essenza di fiori d’arancio
  • 7,5 cl di vino santo + 2,5 cl. di marsala
  • Complessivamente circa 1/2 bicchiere

Preparazione

Le difficoltà nella preparazione di questo dolce sono legate ai lunghi tempi di lievitazione; è necessario inoltre fare attenzione alle caratteristiche dell’ambiente utilizzato.

La preparazione si può dividere in cinque fasi, ognuna a distanza di diverse ore dalla successiva. In condizioni ottimali si può preparare la Schiacciata di Pasqua in 2 giorni. Ad esempio partendo il Giovedì sera si hanno le schiacciate al Sabato sera.

La prima fase (Sera), quella più semplice (può anche essere evitata acquistando circa 250 gr. di impasto per pane già pronto).
Sciogliere il lievito in mezzo bicchiere di acqua tiepida. Dopo una decina di minuti unire il lievito a una parte della farina per formare una pagnottella, abbastanza morbida. Dovrebbero bastare 150/200 gr. di farina. Prendere l’impasto e metterlo in una bacinella contenente tutto il resto della farina. L’impasto deve essere ricoperto dalla farina (non mescolare). La bacinella deve essere coperta da un canovaccio e posta in luogo riparato, caldo e umido.Unire il vin santo al marsala, e in una parte di esso (versata in un bicchiere) lasciare i semi di Anice, appena schiacciati, in infusione.

Seconda fase (mattina presto): estrarre l’impasto ormai lievitato dalla farina, e depositarlo sulla spianatoia. Amalgamare con 1 uovo, 1 cucchiaio di olio, 1 cucchiaio di zucchero, 1 cucchiaio di vino e in modo da riavere un impasto morbido ed omogeneo. Rimettere dentro la bacinella e ricoprire con la farina.

Terza fase (primo pomeriggio): dopo che l’impasto sarà tornato a lievitare (il volume deve essere triplicato) rimettere di nuovo sulla spianatoia e incorporare 2 uova, 2 cucchiaio di olio, 2 cucchiai colmi di zucchero, 2 cucchiaio di vino e la farina bastante. Rimettere a lievitare nella bacinella con farina.

Quarta fase (sera tardi) ripetere le stese operazioni con 3 uova, 3 cucchiaio di olio, 3 cucchiai colmi di zucchero, 3 cucchiaio di vino e la farina bastante. Rimettere a lievitare. Questa è la fase più delicata perché se durante la notte scende troppo la temperatura l’impasto non riesce lievitare.

Quinta fase (mattina presto): sciogliere il burro e unirlo alle restanti 2 uova, un pizzico di sale, lo zucchero, il vino, i semi di anice, la fialetta di aroma di fiori d’arancio, mescolando con la farina rimasta. Se dovessero risultare un impasto troppo molle aggiungere altra farina ma non dovrebbe essere necessario con le dosi suggerite.

Formare due o tre pagnotte; ognuna di esse deve poi essere depositata sopra un foglio di carta forno unto con il burro, in altrettante teglie da forno. Coprire e rimettere a lievitare per almeno altre 4 o 5 ore. Usare delle teglie alte in modo da non far attaccare la pagnotta lievitata al canovaccio che la copre. Le pagnotte devono almeno raddoppiare di volume.

Preparare un bicchiere con 2 tuorli d’uovo sbattuti e un altro bichiere riempito per un terzo con acqua e essenza di fiori d’arancio. Prima di mettere in forno spennellare la superficie delle schiacciate con un pennello immerso prima nell’acqua di fiori d’arancia e poi nel tuorlo.

Specialmente se si fanno due soli pani, la schiacciata è di grosse dimensioni, quindi per non far rimanere molle l’interno e bruciato l’esterno, cuocere in forno a temperatura moderata (150° – 170° ) per circa 40/35 minuti.

In forno il volume delle schiacciate aumenterà di poco. Fare dunque molta attenzione al momento dell’ultima lievitazione.

Abbinamento

Vino Santo – Passito di Pantelleria

Difficoltà

ALTA

Spunti & trucchi

La ricette si presta a molte varianti, i pisani invece del Vino Santo ci mettono la menta e il liquore Strega. Ma la schiacciata più buona e famosa la faceva il nonno di Margherita, famoso pasticcere anzi “buccellatiere“, che invece del vino santo utilizzava Acqua di Rose.

Arrosto di Vitella alla Toscana

Ingredienti per 6 persone

  • 1 kg. di Vitella
  • 50 gr. Olio di Oliva Extravergine
  • una noce di burro
  • 1 rametto di rosmarino (ramerino)
  • 1 spicchio d’aglio
  • 1 bicchiere di brodo vegetale

Preparazione

La preparazione di questo piatto potrà sembrare molto semplice, fin troppo per essere pubblicata su un sito per ricette. Ma in accordo con la filosofia di questo portale, si vuole diffondere il più possibile la nostra cucina tradizionale. E’ vero inoltre che, pur nella sua semplicità, la preparazione di questo piatto offre numerose occasioni per indicare alcuni accorgimenti raramente sui libri e quasi sempre tramandati nelle famiglie. Piccole accortezze che alla fine fanno la differenza.

Questa è dunque un’occasione che ci permette di conoscere dei procedimenti basilari, applicabili in qualsiasi situazione.
Per prima cosa ovviamente è necessario comprare un bel pezzo di carne, e in questo il nostro macellaio di fiducia saprà consigliarci.

Supponiamo di avere un pezzo di girello di vitella Chianina. Se non lo ha già preparato il macellaio, legarlo con dello spago o della rete per arrosti. E’ importante non stringere troppo perché altrimenti in cottura la carne trasuderà troppi liquidi ed alla fine risulterà arida. Alcuni cuochi “steccano” l’arrosto infilandovi nella parte centrale, con un coltello o l’ago lardellatore, l’aglio con il rametto di rosmarino. Se non si desidera un sapore troppo forte si può unire il rosmarino e l’aglio a parte nella casseruola.

Prendere una casseruola alta e mettere al fuoco vivo con l’olio. Ungere l’arrosto con il burro, metterlo nella casseruola, poi far rosolare tutti i lati per qualche minuto. Il burro fa sì che i pori della parte esterna della carne si chiudano impedendo la successiva fuoriuscita dei liquidi.
Abbassare il fuoco e cuocere con il coperchio per circa 30 – 40 minuti. Aggiungere ogni tanto un cucchiaio di brodo e girare per non far asciugare troppo il fondo (altrimenti l’arrosto si attaccherebbe). Salare a cottura quasi terminata. Togliere dalla casseruola e mettere in un piatto o contenitore adatto.
A parte versare il succo (“jus” alla Francese) rimasto nella casseruola in una tazza, da portare in tavola, passandolo attraverso un piccolo colino di rete per trattenere i resti del rosmarino e dell’aglio. Prima di essere servito l’arrosto deve raffreddare almeno un’ora in modo da poter essere facilmente affettato.

Abbinamento

Rosso Toscano

Difficoltà

BASSA

Spunti & trucchi

Data la semplicità del piatto tutto e dipendente dalla qualità della carne.

Triangolini al Tartufo in salsa all’uovo

Ingredienti x 4 persone

  • Per il ripieno:
  •  30 Gr. Prosciutto cotto
  •  30 Gr. Formaggio Parmigiano grattato
  •  30 Gr. Funghi Porcini o Champignon a seconda della stagione
  • Per la pasta:
  •  100 Gr. Farina + 1
    Tuorlo d’uovo
  • Per la salsa:
  •  50 Gr. Burro + 200 Gr. Latte
    scremato o brodo vegetale
  •   1 cucchiaio di farina, un pizzico di sale e di noce moscata
  •   2 Tuorli d’ uovo
  •  10 – 20 Gr. Tartufo

Preparazione

Il piatto si basa sul giusto equilibrio degli ingredienti, pertanto le dosi sono indicative poiché dipendono molto dalla stagione e dalla qualità degli stessi. Per quattro persone procedere nel seguente modo. Preparare 100 grammi di impasto omogeneo, tritando finemente, funghi, prosciutto cotto, formaggio parmigiano in dosi eguali e amalgamando il tutto con uno o due cucchiai di olio d’oliva aromatizzato al tartufo. Lavorare 100 grammi di farina di grano duro con un tuorlo d’uovo un pizzico di sale ed acqua quanto basta ad ottenere un impasto liscio ed omogeneo. Lasciare riposare per almeno dieci minuti. Stendere la pasta in una sfoglia sottile ottenendo delle strisce della larghezza desiderata da cui ricavare dei quadrati. Al centro dei quadrati mettere una pallina dell’impasto precedentemente preparato e ripiegare in diagonale ottenendo un triangolo. Premere leggermente sui bordi e mettere in vassoio spolverato di farina. Mettere a bollire l’acqua nella quale si cuoceranno i Triangoli.

Preparare una salsa besciamella, non troppo densa con 50 grammi di burro un cucchiaio di farina e un bicchiere di latte, a parte preparate
2 tuorli d’uovo.
Appena la salsa stacca il bollore aggiungere mescolando velocemente le uova e lasciare cuocere per alcuni minuti.
Mescolare ancora mentre la salsa si raffredda per non creare grumi.

Cuocere i Triangoli per alcuni minuti nell’acqua bollente e salata, scolarli e metterli nel vassoio di portata aggiungendo la salsa.
Spargere il tartufo, tagiato a scaglie, nella quantità desiderata e guarnire con foglioline di menta o in alternativa di prezzemolo.

I° rev. 22-03-2006

Abbinamento

Dolcetto d’Alba, Cervaro Castello della Sala a seconda del Tartufo usato

Difficoltà

MEDIA

Spunti & trucchi

Se si usa tartufo nero mescolarne parte all’impasto e parte alla salsa. Il tartufo bianco non si cuoce mai quindi affettarlo direttamente sul piatto prima di portare in tavola.

La ricetta é abbastanza “grassa” se si vuole rendere più “dietetica” si puó
omettere l’uovo nella pasta utilizzando solo acqua e usare del brodo
vegetale al posto del latte nella salsa.